Lontano dal mio Paese

By 12 Dicembre 2018News

Condividere il cibo con altre persone. Questo mi è sempre sembrato un atto profondamenteintimo. Un processo semplice, come l’ingerire gli alimenti che ci mantengono vivi, diventa ancora più piacevole quando lo facciamo insieme ad altri, in allegria,discorrendo del più e del meno e condividendo con chi, in quel momento, è piùche mai simile e vicino a noi.

Momenti della Manifestazione contro il governo

Proprio seduta a tavola ho avuto la meravigliosa opportunità di conoscere per la primavolta l’Africa e l’Italia da differenti punti di vista e sotto altri aspettiche noi, da quella piccola parte di mondo azzurro e bianco, conosciamo cosìpoco. Quell’Italia, così bella e ricca di storia che accoglie e abbraccia i tantituristi da una parte, dall’altra respinge con odio gli immigrati. Un’Italia che ha come dirigenti politici persone che manifestano apertamente il loro odiocontro gli immigrati, con il silenzio assenso della maggioranza della popolazione miope di fronte a questo problema, perché impegnata in uno sfrenato consumismo.

In un contesto del genere ho però avuto la fortuna di conoscere persone che non condividono le idee della maggioranza e dedicano gran parte della loro giornata ad aiutare queste ragazze e ragazzi che hanno lasciato i loro lontani Paesi spinti da motivi diversi e col desiderio di migliorare la propria vita e quella dei propri famigliari. Grandi sogni e grandi speranze che si scontrano poi con una realtà così dura com’è l’Italia, ancor più dura forse del viaggio a cuisono sopravvissuti.

“In Nigeria ho lasciato mia moglie, mia madre e i miei fratelli: qui non ho nessuno,ho lasciato tutto in Nigeria. Di una cosa sono sicuro: non voglio morire qui,voglio lavorare per avere un poco di denaro e potere ritornare. Questa non è vita: nessuno dovrebbe passare tutto questo, nessuno dovrebbe arrivare al punto di essere così vicino alla morte per poi cercare di sopravvivere. Non lo auguro a nessuno.”

É difficile non farsi coinvolgere dai racconti, rimanere distaccata: sento una pressione alla mia gola ogni qualvolta ascolto queste dure parole “essere così vicino alla morte”. Solo cinque parole che racchiudono infinite torture e sofferenze fisiche e psicologiche di un viaggio che, in pochi secondi, potrebbe essere l’ultimo,un ultimo respiro per migliaia di persone.

“Essere così vicino alla morte per poi cercare di sopravvivere” è una frase forte che ci permette di riflettere circa il diritto universale alla vita e porsi delle domande sul chi ha le responsabilità di garantire questo diritto. Perché qualcuno si è arrogato il beneficio di decidere del diritto universale degli altri? Perché continua questo silenzio su queste disuguaglianze che non fa altro che far aumentare il problema?

Basta fare una ricerca su Google (“Salvini proibisce alle navi di salvare i migranti”)per capire che il ministro del governo italiano, Matteo Salvini, è per i migranti africani ciò che Trump è per tutta l’America Latina. Mi vengono i brividi a leggere, ogni giorno nei giornali, dell’odio smisurato che questo politico italiano nutre nei confronti dei migranti.

Salvini,oltre a chiudere i porti italiani alle ONG che vanno con le loro navi nel Mediterraneo centrale a salvare la vite di queste persone con viveri e equipaggiamenti medici per l’assistenza immediata, ha infine creato il decreto legge “decreto sicurezza e immigrazione, decreto n.113/2018”, meglio conosciuto come decretoSalvini.

Inizialmente erano stati scritti due decreti: il primo sull’ immigrazione, il secondo sulla sicurezza e i beni confiscati alla mafia. Questi sono stati in seguito unificati,facendoci capire che Salvini, concepisce i migranti come persone che mettono in pericolo la sicurezza degli italiani. Con questo decreto è stata cancellata la protezione umanitaria che prima si concedeva a un terzo delle richieste diasilo, è stato ridotto da 35 a 20 euro al giorno la quota per persona destinata ai centri di assistenza e accoglienza, eliminato l’insegnamento della lingua italiana, attività fondamentale per la formazione professionale, eliminata l’assistenza psicologica e tutte quelle attività che prima favorivano il processo di integrazione di questa persone all’interno della società italiana.

Sto così vivendo le realtà di due Paesi completamente diversi. Da una parte il mio Paese natale, il Nicaragua. Un Paese impoverito, con una lunga storia di emigrazione,che in questo momento, come 40 anni fa, soffre a causa di una dittatura terribile e sanguinosa che mette a rischio la vita delle persone e mina la stabilità economica. Pertanto alla precedente migrazione per cause economiche si aggiungeoggi una migrazione di massa causata dalla violenza di stato iniziata con la crisi socio-politica di aprile. Dall’altra parte l’Italia: un Paese che si definisce democratico ma così non è più ai miei occhi. Una democrazia che è giusta per uno e profondamente violenta e ingiusta per altri è davvero una democrazia?

Amarilis Acevedo

Assistente sociale e attivista femminista nicaraguense, attiva nell’ interscambio socioculturale in Italia con la cooperativa Un Sole Per Tutti.