TESTIMONIANZA DAL PROGETTO IN GUINEA

By 26 Febbraio 2019News

Il 3 settembre del 2018 mi arriva una mail: “Cara Cloè, siamo felici di informarti che sei stata scelta per lavorare con noi al progetto in Guinea”.

Un mese dopo eccomi a Conakry, la capitale della Repubblica di Guinea, a lavorare come Assistente Ricercatrice per l’Università Bocconi di Milano. Il mio compito è quello di fare da supervisore per un progetto di informazione/sensibilizzazione promosso dalla Cooperativa UN SOLE PER TUTTI in collaborazione con l’Università Bocconi e una ONG guineana (AGUIDIE).

Il nostro progetto consiste nell’informare gli studenti delle scuole secondarie circa i rischi del viaggio migratorio clandestino e circa la reale situazione del sistema accoglienza in Europa e le reali condizioni di vita dei migranti, di modo che gli stessi possano prendere decisioni consapevoli in ambito migratorio.

Potrei scrivere pagine su questo scorcio di Africa e su come questa esperienza mi stia facendo pensare e crescere.

Come prima cosa, potrei raccontare del mio incontro/scontro con la povertà: i bambini malati che chiedono l’elemosina lungo le strade, l’assenza di acqua, la generale insalubrità della città e le persone che dormono per terra (qui un materasso costa quasi come un mese di stipendio). Certo, quando studi Development Economics sai di queste cose ma quando poi le vedi e vivi in prima persona è un’altra storia, specialmente per una persona sensibile quale sono.

Poi ci sono altre cose che ti sorprendono la prima volta che le provi e le vedi, come i calorosi saluti della gente o le poltrone e gli armadi in legno esposti lungo quelle strade che fanno anche da campo da calcio per i tantissimi giovani che corrono dietro a un pallone dribblando le macchine che nel frattempo passano. Ci cono poi anche quelle piccole cose che amo delle gente guineana come la reale volontà nel porti il loro aiuto quando ne hai bisogno o lo spirito di condivisione. E poi, purtroppo, ci sono anche cose che mi rattristano e mi fanno arrabbiare. E’ abbastanza frustrante vedere ragazzine di 12 anni vendere cibo lungo le strade principali invece di essere sedute ai banchi di scuola. Sono rimasta attonita quando, a dicembre, ho visto una grandissima e bellissima decorazione luminosa per la via principale della città quando poi mancano i servizi base. A volte faccio proprio fatica a capire quali siano le vere priorità del governo.

Non è poi così facile parlare di integrazione, visto che provengo da un Paese e da una cultura completamente diversi e, soprattutto, ho la pelle bianca. Sebbene le manifestazioni di amicizia vi siano sempre state, continuo ad avere l’impressione che per la maggior parte della gente io resti comunque la “foté” (la “ragazza bianca” in lingua sousou).

In ogni caso, la mia vera fortuna è quella di vivere con una famiglia guineana che mi ha calorosamente accolta e che mi da l’opportunità di comprendere meglio la Guinea e il popolo guineano. Senza l’appoggio di questa famiglia, la mia esperienza non sarebbe stata così arricchente e tanto meno così divertente: non avrei mai danzato in strada durante un battesimo, non avrei mai riso così tanto durante la preparazione dei pasti e non vi sarebbe mai stata la “danse du courant” con Makoura e Kadiatou.

E poi, soprattutto, vivendo con questa famiglia, ho imparato cosa davvero significhi solidarietà famigliare in Africa. Quando dico che questa solidarietà è molto forte, non lo dico pensando al significato di famiglia a cui siamo abituati. La gente in Guinea ha sviluppato una propria idea di famiglia che va oltre gli schemi del “nonni-genitori-figli”. Qui solidarietà non significa soltanto vivere sotto lo stesso tetto o inviare denaro al proprio nipote. E’ anche ricevere del cibo da una zia acquisita lontana 50 km da te, oppure ospitare in casa propria una nipote dal villaggio per garantirle un’educazione, o ancora organizzare riunioni allargate per risolvere problemi o creare un fondo cassa per eventi imprevisti. Credo che molti guineani non riuscirebbero a sopravvivere senza questa solidarietà che va ad ovviare alle mancanze del governo. Ma c’è anche un punto a sfavore: a volte delle scelte che dovrebbero rimanere personali per la loro delicatezza finiscono per diventare un affare di stato.

Per ultima cosa, vivendo in un Paese dove quasi il 80% della popolazione è musulmano, ho visto come la religione dia un ritmo alla vita di queste persone e come le possa unire. E’ emozionante vederle tutte insieme pregare davanti alla moschea ogni venerdì alle 13 in punto. Ricorderò sempre il giorno in cui 5 imam fecero visita a casa nostra e per più di mezz’ora pregarono per noi.

Vivere in Guinea per 9 mesi a 22 anni non è facile. A volte ti senti sola. A volte ti senti impotente di fronte alle difficili situazioni che il Paese si trova ad affrontare. Ma soprattutto vivere in Guinea a 22 anni per 9 mesi significa vivere in un Paese in cui non puoi dare nulla per scontato e dove ogni giorno c’è qualcosa da imparare dalle persone che incontri, in termini di tolleranza e rispetto verso il prossimo.